Collezioni
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Le origini dell’industrializzazione saronnese
Al momento dell’Unità, fra le località dell’Alto Milanese capoluogo di distretto, Saronno manifestava un evidente ritardo nell’avvio dell’industrializzazione. Le particolarità geografiche della zona, caratterizzata da limitate possibilità d’impiego della forza idrica reperibile sul territorio, avevano infatti tenuto Saronno ai margini di quella rivoluzione industriale che si era andata affermando già prima dell’Unità nel Circondario di Gallarate e che ebbe come asse dello sviluppo il fiume Olona.
L’energia della macchina a vapore – sostengono Brusa ed Ambrosetti – è stata la sola a permettere la rivoluzione industriale a Saronno; il torrente Lura non aveva mai consentito un impiego su larga scala della forza idraulica, usata solo in casi sporadici collegati ad attività a carattere artigianale come quella molitoria.
Sarebbe però riduttivo attribuire il ritardo dell’industrializzazione nel Saronnese unicamente agli svantaggi derivanti dalla mancanza di forza idrica, poiché anche l’impiego del vapore si diffuse più tardi rispetto agli altri distretti dell’Alto Milanese. Semmai la maggiore lentezza dello sviluppo industriale va individuata in alcune specificità locali.
[…]
Prima dell’Unità alcune indagini rilevarono la presenza nel Distretto di Saronno di attività legate alla lavorazione della seta. L’inchiesta del 1839 di Karl Czoernig sull’agricoltura e sulle condizioni di vita degli agricoltori lombardi, alle domande, se il territorio fosse coltivato a gelsi e la “filatura dei bozzoli” avvenisse in “sito” oppure altrove e chi fossero le persone addette alla filatura, si rispose che in generale il territorio è coltivato a gelsi, i bozzoli si filano in sito, o quanto meno nel distretto, per la filatura dei bozzoli si adoperano persone tutte del paese, ossia del distretto.
Non sono presenti nell’inchiesta ricordata riferimenti ad altre attività industriali come quella della concia dei pellami che si trova nello studio di Melchiorre Gioia d’inizio Ottocento.
Nel 1846 l’inchiesta del Frattini riportò per Saronno l’esistenza di 3 imprese che impiegavano 20 telai per la filatura del cotone localizzati nel “borgo” e 13 nei dintorni, complessivamente 33 telai, una presenza alquanto modesta se paragonata ai 5.642 del Distretto di Busto Arsizio ma che pur sempre testimoniava, anche se in modo marginale, una tendenza in atto. Erano quasi certamente telai situati nelle case di contadini che si dedicavano alla tessitura durante i periodi in cui l’attività agricola rallentava per le pause forzate derivanti dal ciclo stagionale del lavoro dei campi.
Al momento dell’Unità non furono più segnalate nemmeno quelle modeste attività manifatturiere indicate nelle inchieste preunitarie. Il censimento della popolazione del 1861 infatti non riportò fra gli abitanti nessun addetto ad attività industriali.
[…]
A testimoniare che però anche a Saronno vi erano fermenti imprenditoriali era lo stesso censimento del 1861 che segnalava la richiesta di Giuseppe Volontè alla Regia Sotto Prefettura del Circondario di Gallarate per impiantare una fabbrica di «colla forte ed amido». L’autorizzazione giunse nel dicembre del 1861 e consentì l’avvio della produzione di colla a cui seguì quella di concimi e sapone.
La lavorazione della colla – com’è noto – necessita di residui della conceria e degli scarti della macellazione quali ossa ed interiora, oppure del mais, questi presupposti erano tutti presenti sul posto al momento in cui la fabbrica iniziò la produzione: il processo di trasformazione dei pellami era stato indicato in uno studio preunitario come una delle attività industriali presenti nella borgata.
[…]
Il decennio 1879-89 coincise pertanto con il periodo che a ragione va considerato come la fase d’incubazione dello sviluppo industriale locale.
Nella seconda metà del decennio 1880-90 sorsero due aziende di costruzioni meccaniche legate alla fabbricazione di locomotive e motori e due nuove aziende tessili.
Saronno fu interessata da importanti investimenti stranieri, si insediarono alcune importanti aziende: Maschinen Fabrik (costruzioni meccaniche), Torley (trecce e nastri), Poss (cotonificio), che iniziarono le loro attività tra il 1889 e il 1894. Nello stesso periodo si svilupparono alcune significative iniziative imprenditoriali con capitali locali di cui furono protagoniste le famiglie Lazzaroni (biscotti) e Parma (casseforti); infine va ricordata l’officina meccanica legata al deposito delle FNM.
Le moderne attività promosse dal capitale straniero fecero uscire la zona da una condizione di marginalità economica permettendo di recuperare in tempi relativamente brevi il ritardo che il Saronnese aveva accumulato rispetto alle altre località dell’Alto Milanese.
L’inchiesta industriale del Sabbatini sulle attività presenti nella provincia di Milano, promossa dalla Camera di Commercio nel 1893, evidenziava come Saronno vivesse in quegli anni una profonda trasformazione.
Molti degli stabilimenti tessili, nati alla fine degli anni Sessanta esaurirono presto il loro ciclo, tant’è che nell’inchiesta Sabbatini non sono più indicati; nel frattempo il settore meccanico aveva assunto un ruolo prevalente rispetto a quello tessile. Questo assetto strutturale dell’industrializzazione saronnese non subì sostanziali modificazioni nemmeno nel corso del periodo giolittiano mantenendo inalterata la medesima fisionomia per buona parte del Novecento.
Nelle motivazioni che indussero le nuove industrie ad insediarsi a Saronno prevalsero fattori quali l’accessibilità (dovuta alla ferrovia) ma anche il vantaggioso costo dei suoli, infine una manodopera remissiva, desiderosa di emanciparsi dal lavoro agricolo e disposta a salari più bassi di quelli che si percepivano nel capoluogo lombardo.
Non furono soltanto fattori esogeni quelli che indussero lo sviluppo industriale nel saronnese, non si può trascurare il ruolo dei liberali saronnesi, della classe dirigente locale, che seppe in alcune circostanze interpretare positivamente le tendenze economiche in atto in Lombardia mobilitandosi e anticipando analoghe iniziative di maggiorenti di altre località vicine.
(dai Quaderni del Museo MILS, n. 9, Giuseppe Nigro, Lavoro e industria a Saronno tra Ottocento e Novecento, Varese, Macchione Editore, 2018, p. 15-29.).
Le origini dell’industrializzazione saronnese
Al momento dell’Unità, fra le località dell’Alto Milanese capoluogo di distretto, Saronno manifestava un evidente ritardo nell’avvio dell’industrializzazione. Le particolarità geografiche della zona, ...
Al momento dell’Unità, fra le località dell’Alto Milanese capoluogo di distretto, Saronno manifestava un evidente ritardo nell’avvio dell’industrializzazione. Le particolarità geografiche della zona, caratterizzata da limitate possibilità d’impiego della forza idrica reperibile sul territorio, avevano infatti tenuto Saronno ai margini di quella rivoluzione industriale che si era andata affermando già prima dell’Unità nel Circondario di Gallarate e che ebbe come asse dello sviluppo il fiume Olona.
L’energia della macchina a vapore – sostengono Brusa ed Ambrosetti – è stata la sola a permettere la rivoluzione industriale a Saronno; il torrente Lura non aveva mai consentito un impiego su larga scala della forza idraulica, usata solo in casi sporadici collegati ad attività a carattere artigianale come quella molitoria.
Sarebbe però riduttivo attribuire il ritardo dell’industrializzazione nel Saronnese unicamente agli svantaggi derivanti dalla mancanza di forza idrica, poiché anche l’impiego del vapore si diffuse più tardi rispetto agli altri distretti dell’Alto Milanese. Semmai la maggiore lentezza dello sviluppo industriale va individuata in alcune specificità locali.
[…]
Prima dell’Unità alcune indagini rilevarono la presenza nel Distretto di Saronno di attività legate alla lavorazione della seta. L’inchiesta del 1839 di Karl Czoernig sull’agricoltura e sulle condizioni di vita degli agricoltori lombardi, alle domande, se il territorio fosse coltivato a gelsi e la “filatura dei bozzoli” avvenisse in “sito” oppure altrove e chi fossero le persone addette alla filatura, si rispose che in generale il territorio è coltivato a gelsi, i bozzoli si filano in sito, o quanto meno nel distretto, per la filatura dei bozzoli si adoperano persone tutte del paese, ossia del distretto.
Non sono presenti nell’inchiesta ricordata riferimenti ad altre attività industriali come quella della concia dei pellami che si trova nello studio di Melchiorre Gioia d’inizio Ottocento.
Nel 1846 l’inchiesta del Frattini riportò per Saronno l’esistenza di 3 imprese che impiegavano 20 telai per la filatura del cotone localizzati nel “borgo” e 13 nei dintorni, complessivamente 33 telai, una presenza alquanto modesta se paragonata ai 5.642 del Distretto di Busto Arsizio ma che pur sempre testimoniava, anche se in modo marginale, una tendenza in atto. Erano quasi certamente telai situati nelle case di contadini che si dedicavano alla tessitura durante i periodi in cui l’attività agricola rallentava per le pause forzate derivanti dal ciclo stagionale del lavoro dei campi.
Al momento dell’Unità non furono più segnalate nemmeno quelle modeste attività manifatturiere indicate nelle inchieste preunitarie. Il censimento della popolazione del 1861 infatti non riportò fra gli abitanti nessun addetto ad attività industriali.
[…]
A testimoniare che però anche a Saronno vi erano fermenti imprenditoriali era lo stesso censimento del 1861 che segnalava la richiesta di Giuseppe Volontè alla Regia Sotto Prefettura del Circondario di Gallarate per impiantare una fabbrica di «colla forte ed amido». L’autorizzazione giunse nel dicembre del 1861 e consentì l’avvio della produzione di colla a cui seguì quella di concimi e sapone.
La lavorazione della colla – com’è noto – necessita di residui della conceria e degli scarti della macellazione quali ossa ed interiora, oppure del mais, questi presupposti erano tutti presenti sul posto al momento in cui la fabbrica iniziò la produzione: il processo di trasformazione dei pellami era stato indicato in uno studio preunitario come una delle attività industriali presenti nella borgata.
[…]
Il decennio 1879-89 coincise pertanto con il periodo che a ragione va considerato come la fase d’incubazione dello sviluppo industriale locale.
Nella seconda metà del decennio 1880-90 sorsero due aziende di costruzioni meccaniche legate alla fabbricazione di locomotive e motori e due nuove aziende tessili.
Saronno fu interessata da importanti investimenti stranieri, si insediarono alcune importanti aziende: Maschinen Fabrik (costruzioni meccaniche), Torley (trecce e nastri), Poss (cotonificio), che iniziarono le loro attività tra il 1889 e il 1894. Nello stesso periodo si svilupparono alcune significative iniziative imprenditoriali con capitali locali di cui furono protagoniste le famiglie Lazzaroni (biscotti) e Parma (casseforti); infine va ricordata l’officina meccanica legata al deposito delle FNM.
Le moderne attività promosse dal capitale straniero fecero uscire la zona da una condizione di marginalità economica permettendo di recuperare in tempi relativamente brevi il ritardo che il Saronnese aveva accumulato rispetto alle altre località dell’Alto Milanese.
L’inchiesta industriale del Sabbatini sulle attività presenti nella provincia di Milano, promossa dalla Camera di Commercio nel 1893, evidenziava come Saronno vivesse in quegli anni una profonda trasformazione.
Molti degli stabilimenti tessili, nati alla fine degli anni Sessanta esaurirono presto il loro ciclo, tant’è che nell’inchiesta Sabbatini non sono più indicati; nel frattempo il settore meccanico aveva assunto un ruolo prevalente rispetto a quello tessile. Questo assetto strutturale dell’industrializzazione saronnese non subì sostanziali modificazioni nemmeno nel corso del periodo giolittiano mantenendo inalterata la medesima fisionomia per buona parte del Novecento.
Nelle motivazioni che indussero le nuove industrie ad insediarsi a Saronno prevalsero fattori quali l’accessibilità (dovuta alla ferrovia) ma anche il vantaggioso costo dei suoli, infine una manodopera remissiva, desiderosa di emanciparsi dal lavoro agricolo e disposta a salari più bassi di quelli che si percepivano nel capoluogo lombardo.
Non furono soltanto fattori esogeni quelli che indussero lo sviluppo industriale nel saronnese, non si può trascurare il ruolo dei liberali saronnesi, della classe dirigente locale, che seppe in alcune circostanze interpretare positivamente le tendenze economiche in atto in Lombardia mobilitandosi e anticipando analoghe iniziative di maggiorenti di altre località vicine.
(dai Quaderni del Museo MILS, n. 9, Giuseppe Nigro, Lavoro e industria a Saronno tra Ottocento e Novecento, Varese, Macchione Editore, 2018, p. 15-29.).
locazione delle ditte
“le ferrovie” quadro dell’artista Angelo Ariti
- CEMSA
- Cotonificio Poss
- D. Lazzaroni & C.
- De Angeli Frua (Cantoni)
- FIMI - Phonola
- FNM (Ferrovie Nord Milano)
- FOS (Fonderie e Officine di Saronno)
- Gianetti Ruote S.r.l
- Isotta Fraschini
- Lesa
- LUS (Legnani Umberto Saronno)
- Parma Antonio & Figli
- Borsani
- Calzificio Fusi
- Ebi Butti
- Fontana (La Saronnese)
- Fratelli Verga
- INCIS
- Menning & Torley
- Molino Canti
- Paolo Lazzaroni & Figli
- Tipografia Padre Luigi Monti
- Wundercart
GRANDI AZIENDE
CEMSA
La presenza di questa fabbrica risale al 1887, quando la "Maschinenfabrik" di Esslingen, un'azienda tedesca specializzata nella costruzione di locomotive a vapore e di materiale ferroviario, decise di ...
La presenza di questa fabbrica risale al 1887, quando la “Maschinenfabrik” di Esslingen, un’azienda tedesca specializzata nella costruzione di locomotive a vapore e di materiale ferroviario, decise di avviarne la produzione anche in Italia. Con il concorso di capitali italiani e tedeschi venne fondata la “Costruzioni Meccaniche” di Saronno, dotata di un grande stabilimento, attrezzato con moderni macchinari all’avanguardia in quel periodo; l’azienda dal 1888 iniziò la fabbricazione di locomotive e di altro materiale rotabile.
Dopo le difficoltà iniziali, nel 1896 – grazie alla ripresa economica – l’azienda di Saronno aumentò il fatturato e il numero degli addetti; il periodo migliore fu tra il 1906 e il 1913 grazie alle commesse da parte dello Stato che aveva rilevato la maggior parte della rete ferroviaria.
Nel 1918 cambiò l’aspetto societario: dopo vari tentativi, fu estromesso definitivamente il capitale tedesco e attraverso la mediazione della Banca di Locarno, subentrò l’ing. Nicola Romeo. L’azienda di cui era proprietario, la “Società Anonima Ing. Nicola Romeo & Co.” nel 1915 aveva rilevato l’ALFA e al termine del conflitto mondiale aveva investito gli enormi profitti di guerra realizzati attraverso la produzione bellica, nell’acquisto di tre aziende del settore ferroviario: la “Costruzioni Meccaniche” di Saronno, le “Officine Meccaniche” ex Tabanelli di Roma e le “Officine Ferroviarie Meridionali” di Napoli.
Nel 1925, per alleggerire il passivo dell’azienda, l’ing. Romeo ricorse alla cessione delle partecipazioni in aziende ferroviarie, scorporando lo stabilimento dell’ALFA.
Fu così che il 28 Febbraio del 1925, grazie ad un accordo tra la “Società Anonima Ing. Nicola Romeo” e il Credito Italiano, venne costituita la CEMSA – Costruzioni Elettro Meccaniche di Saronno.
Numerose furono le locomotive a vapore costruite dall’azienda saronnese e fra queste vanno ricordati il “modello 640” del 1907, e il “modello 740” del primo dopoguerra.
Sotto la guida dell’ ing. Romeo, iniziò anche la produzione di apparati elettromeccanici per carrozze e la sperimentazione di locomotori ferroviari.
Grazie all’opera dell’ ing. Pietro Balasso, l’azienda partecipò all’elettrificazione delle linee ferroviarie italiane, con la costruzione dei primi elettromotori in collaborazione con altre aziende. Nei primi anni Venti furono prodotti i locomotori elettrici trifase (modello E.333 – E.552 – E. 554) e negli anni successivi vennero costruiti i locomotori della serie “E 626”, che diedero un contributo notevole allo sviluppo delle ferrovie italiane.
L’ingegner Romeo mantenne la presidenza della società fino al 1928, quando abbandonò le responsabilità aziendali ritirandosi a Magreglio (Co), dove morì il 15 agosto del 1938.
La pesante crisi economica del 1929, l’indebitamento precedente e la mancanza di commesse aggravarono la situazione economica dell’azienda. Nel 1931 il pacchetto azionario era in mano ai creditori e il capitale svalutato da 40 a 10 milioni, ridotto poi a un milione nel 1935. L’intervento dell’IRI, che rilevò l’intero pacchetto azionario, servì solo a chiudere definitivamente gli impianti.
Nel 1936 Gianni Caproni rilevò il pacchetto azionario dall’IRI, modificando la produzione verso un settore più remunerativo, quello delle armi automatiche e delle munizioni.
Iniziò così la produzione di armi da fuoco: mortai da 81 mm e mortai d’assalto da 63,5 mm, mitragliatrici a 4 canne per la Marina. Venne allestito uno spolettificio per la produzione di proiettili da mortaio “modello 35”, spolette per proiettile “20 TSA”, cartucce e cariche aggiuntive di lancio. Nel 1938 furono progettate e realizzate alcune armi antisommergibile: un cannone lanciabombe da 210 mm, una bomba da 210 mm. e una da 120 mm.
Il 25 Marzo 1941 l’azienda cambiò la ragione sociale diventando “Caproni Elettro Meccanica di Saronno S.A.”, e nel 1943 fu realizzato un nuovo impianto per la produzione di proiettili.
Al termine del conflitto mondiale la CEMSA decise di avviare un programma per la riconversione degli impianti, indirizzando la produzione in campo motoristico: ciclomotori e automobili.
Alcune commesse di lavoro giunsero dalla Garelli di Sesto San Giovanni, per la costruzione del motore “Mosquito”, e dalla ditta” Cicli Umberto Dei”, per la realizzazione dei mozzi per biciclette.
L’Ing. Antonio Fassia – proveniente dalla FIAT – assunse l’incarico di guidare la progettazione nel settore automobilistico; in soli 18 mesi fu realizzata la “CEMSA F 11” a trazione anteriore. La nuova vettura aveva caratteristiche molto avanzate: il motore boxer a 4 cilindri orizzontali contrapposti, collocato a sbalzo rispetto all’asse delle ruote anteriori; il cambio con presa diretta comandato da leva al volante; le sospensioni anteriori indipendenti con balestra trasversale e il retrotreno a ruote indipendenti.
Il motore nella versione di serie prevedeva una cilindrata di 1250 cc. e una potenza di 46 cavalli a 4400 giri.
La “F11” fu esposta al Salone dell’Automobile di Parigi nel 1947 con la Isotta Fraschini “Monterosa” anch’essa prodotta dal gruppo Caproni; al suo apparire suscitò un grande interesse a livello internazionale. Il gruppo statunitense Tucher, che aveva realizzato un’avveniristica automobile ma che stentava a realizzarla in serie, raggiunse un accordo con la CEMSA per l’importazione in grandi quantità della “F11” e un esemplare di preserie della nuova vettura venne inviato in America. Purtroppo nel 1948/49 la Tucker fallì e del modello inviato in USA si persero le tracce.
Negli stessi anni per la realizzazione in serie di questa vettura, vennero sostenuti notevoli investimenti per l’acquisto delle attrezzature e dei macchinari necessari alla produzione; fu anche coinvolto lo stabilimento della Aeroplani Caproni di Taliedo, a Milano, per la carrozzeria della vettura.
Verso la fine del 1949 la situazione economica della CEMSA peggiorò e la produzione automobilistica venne sospesa. La causa andava ricondotta alle difficoltà economiche e finanziarie del Gruppo Caproni, messo alle strette da una politica governativa miope che attraverso il FIM-Fondo per l’Industria Meccanica erogava finanziamenti in cambio della riduzione del personale, che portarono alla messa in liquidazione di tutte le aziende del gruppo. Circa 1500 tra operai e impiegati dello stabilimento saronnese furono licenziati, nonostante il loro impegno per il rilancio produttivo dell’azienda che il 30 Novembre del 1949 cessò l’attività.
Della vettura “F 11” erano stati nel frattempo completati una decina di esemplari di preserie, carrozzati da Bertone, che vennero poi venduti nel corso della liquidazione.
Nel 1953 la fabbrica belga Minerva trattò l’acquisto dei macchinari, delle attrezzature e della licenza di produzione della “CEMSA F 11”. A scopo di studio e di ricerca di mercato fu acquistato anche uno degli esemplari realizzati, che la Minerva presentò al Salone di Bruxelles nel 1953, senza però dargli un seguito produttivo.
Il lavoro dell’ Ing. Fessia non andò perduto e nel 1956, quando iniziò a collaborare con la casa automobilistica Lancia, quell’idea fu ripresa e si concretizzò nella vettura modello “Flavia”.
I due esemplari “F.11” di cui è nota l’esistenza, sono conservati dalla famiglia Caproni che ne ha curato il restauro presso l’officina Girola di Saronno. Uno dei modelli è stato ospitato al MILS fino a qualche anno fa quando la famiglia Caproni ne chiese la restituzione.
Oggi al posto della F11 è esposta l’autovettura FIAT 501 del 1924 appartenente alla Famiglia Lazzaroni.
Restano al MILS alcuni cimeli della CEMSA come un proiettile per mortaio a grande capacità, una targa, le foto di varie locomotive e di un convoglio con locomotiva elettrica e alcune foto storiche dello stabilimento CEMSA di Saronno.
(NOTA: il testo di questa nota è stato curato da Claudio De Biaggi)
Cotonificio Poss
Nel 1885 Emilio Poss, con i proventi derivanti dal commercio della seta, diede vita a Legnano ad un impianto di tessitura di cotone con 120 telai meccanici di fabbricazione straniera, alimentati ...
Nel 1885 Emilio Poss, con i proventi derivanti dal commercio della seta, diede vita a Legnano ad un impianto di tessitura di cotone con 120 telai meccanici di fabbricazione straniera, alimentati dall’energia a vapore prodotta dal filatoio Borghi.
Nel 1893, dopo aver acquistato da Teresa Cabiati Zerbi un vasto appezzamento di terreno a Saronno localizzato fra il Santuario della Beata Vergine Maria e la stazione ferroviaria delle FNM costruì una moderna tessitura di cotone.
Lo stabilimento di Saronno fu realizzato secondo l’architettura industriale in voga nel Nord Europa con una estensione orizzontale degli spazi razionalmente suddivisi nei diversi reparti. La fabbrica fu dotata di telai meccanici Rüti, prodotti non lontano da Zurigo.
Nel 1904, con la collaborazione del figlio Alessandro Poss, Emilio amplia l’attività con la realizzazione di un moderno stabilimento in cui integra il ciclo della filatura (10.000 fusi) con quello della tessitura ad Uboldo. Lo stabilimento di Uboldo ospitò 416 moderni telai Northrop, macchine da poco commercializzate in Italia che consentivano un significativo aumento della produzione.
Nel 1908 fu la volta di un nuovo impianto di filatura a Cesate con 14.000 fusi per alimentare le due fabbriche di Saronno e Uboldo. Il cotonificio Poss, integrato orizzontalmente e e verticalmente, diventò uno dei più moderni d’Italia.
Agli inizi del ‘900 la vocazione all’innovazione di Alessandro Poss portò a sperimentare la produzione di speciali tele per pneumatici che furono destinate alla Pirelli.
Durante la prima Guerra Mondiale, per evitare periodi prolungati di chiusura, il cotonificio utilizzò nei suoi impianti la canapa.
Nel frattempo i prodotti Poss si affermavano per la loro qualità. Nel 1925 la sede sociale dell’azienda fu trasferita a Milano e il cotonificio prese la denominazione di Società Anonima.
Nel 1927 furono introdotte numerose innovazioni negli impianti per la tessitura di Saronno e il cotonificio prese lavorare anche le nuove fibre artificiali (rayon) che andavano affermandosi come tessuti complementari al cotone. Sono gli anni in cui il cotonificio Poss diventò celebre per aver prodotto speciali tele per aerei impiegate sull’aereo SIAI- Marchetti impiegato dal comandante Francesco De Pinedo per il volo Sesto Calende-Melbourne-Tokyo-Roma.
Dopo la seconda Guerra Mondiale, il cotonificio Poss continuò l’attività fino agli anni ‘60, quando non resse la concorrenza dei produttori del terzo mondo ed entrò in crisi per chiudere definitivamente.
D. Lazzaroni & C.
La famiglia Lazzaroni, originaria di Teglio - Valtellina (allora Grigioni), approdò a Saronno all'inizio del XVIII secolo con Giuseppe e già nella seconda metà del ‘700 con Carlo operò nel settore ...
La famiglia Lazzaroni, originaria di Teglio – Valtellina (allora Grigioni), approdò a Saronno all’inizio del XVIII secolo con Giuseppe e già nella seconda metà del ‘700 con Carlo operò nel settore della pasticceria con la produzione artigianale dei famosi “amaretti di Saronno”.
Carlo, nato nel 1774, ebbe molti figli ma solo due si occuparono dell’azienda: Paolo e Davide.
Il primo si trasferì presto a Monza (1847) e si occupò della produzione di mostarda e liquori.
Il secondo, Davide, invece sviluppò la produzione degli amaretti a Saronno in Piazza Libertà, di fronte alla chiesa Prepositurale, servita dal tram a cavalli.
Con l’arrivo della Ferrovia e l’installazione di moderni macchinari di fabbricazione inglese l’azienda si espanse; entrò in società Luigi Lazzaroni, figlio di Paolo, e nel 1888 nacque nelle vicinanze della stazione la nuova fabbrica, la Davide Lazzaroni e C.
Al marchio venne aggiunta la dicitura “Anglo-Italiana” per evidenziare appunto il contributo delle tecnologie produttive inglesi.
Luigi Lazzaroni fece decollare la nuova industria e arricchì il catalogo dei prodotti con ben 350 diversi tipi di biscotti, esportati in tutto il mondo; il marchio di fabbrica a forma di bastimento a vapore vuole proprio sottolineare questa vocazione verso i mercati internazionali.
Nel 1936 la Lazzaroni fu la prima ditta dolciaria a confezionare i biscotti in incarti metallizzati e nel 1938 a introdurre le scatole metalliche per una migliore conservazione del prodotto.
Comparvero allora i biscotti Oswego, Nutritivo, Croccale, Germovita e tanti altri.
A Luigi Lazzaroni, uno dei primi Cavalieri del lavoro in Italia, successe il figlio Mario.
Dotato di grande preparazione tecnica, con studi all’estero e grande passione per l’industria dolciaria, Mario Lazzaroni dopo la Seconda Guerra mondiale riuscì a dare il tanto atteso impulso alla capacità produttiva in un nuovo stabilimento alle porte di Saronno. Anche a lui fu conferita l’onorificenza di Cavaliere del lavoro.
Verso la fine degli anni ’50 entrarono in azienda anche i figli di Mario, Luigi e Paolo, che contribuirono allo sviluppo dell’azienda sempre all’insegna della qualità dei prodotti.
Nel 1970 nacque il Lazzagrill, ribattezzato nel 1985 la “Rotonda di Saronno” e negli anni ’70 iniziò la produzione di amaretti in una fabbrica a Congers in USA nello stato di New York.
A metà anni settanta i dipendenti della Lazzaroni raggiunsero la quota di mille ma ben presto il settore divenne molto competitivo e la famiglia Lazzaroni nel 1984 cedette la proprietà ad una multinazionale americana, la Campbell, che aveva presentato un ambizioso programma con prospettive di espansione in tutta Europa. Purtroppo questo piano non venne mai realizzato.
Nel 1991 Luigi Lazzaroni riuscì ad esercitare il diritto di prelazione e, con la partecipazione maggioritaria (80%) dei parenti Citterio di Rho l’azienda tornò a capitale italiano.
Disaccordi sul piano industriale dell’azienda portarono però i fratelli Luigi e Paolo Lazzaroni, soci minoritari, a uscire definitivamente dal capitale societario.
La fabbrica di Saronno ebbe un periodo di crisi e fu chiuso alla fine del 2004; l’azienda incluso il marchio fu ceduta a un gruppo d’investitori italiani che trasferì la produzione di biscotti, amaretti e pasticceria in Abruzzo.
Paolo Lazzaroni continua l’attività nel settore con una nuova azienda (la Paolo Lazzaroni & Figli) che produce il liquore Amaretto.
- Un po’ di genealogia della famiglia Lazzaroni
Carlo Lazzaroni (1774-1835) inventa l’amaretto;
Davide Lazzaroni (1808-1874), suo figlio, sviluppa la produzione di amaretti, panettoni e biscotti all’uovo;
Giacinto (1840-1894 ), Ernesto ( 1844-1909 ), Piero Lazzaroni ( 1851-1904 ), i suoi tre figli, danno vita nel 1888,alla Davide Lazzaroni e C. facendo notevoli investimenti e chiamando in aiuto il cugino
Luigi Lazzaroni (1847-1933) che sviluppa l’Azienda e introduce nuovi prodotti. Luigi ha due figli, Paolo (1882-1930) scomparso prematuramente e Mario (1895-1970).
Mario Lazzaroni (1895-1970) realizza il sogno d’ingrandire lo stabilimento trasferendolo alle porte di Saronno ai confini con Uboldo e dotandolo di modernissimi macchinari (1958);
Luigi (1931-2012) e Paolo Lazzaroni (1936), i suoi due figli, collaborano nella gestione dell’azienda fino alla sua cessione alla Campbell nel 1984.
De Angeli Frua (Cantoni)
Ernesto De Angeli dopo varie vicissitudini, grazie alla fiducia accordatagli dal barone Eugenio Cantoni, nel 1878 riuscì a dar vita alla stamperia di tessuti della Maddalena a Milano, non lontano dal ...
Ernesto De Angeli dopo varie vicissitudini, grazie alla fiducia accordatagli dal barone Eugenio Cantoni, nel 1878 riuscì a dar vita alla stamperia di tessuti della Maddalena a Milano, non lontano dal corso dell’Olona mentre entra in città. Quello della stamperia di tessuti era un settore che implicava conoscenze complesse e in Italia non molto diffuse. A dirigere lo stabilimento della Maddalena fu chiamato Giuseppe Frua che di fatto prese a guidare e promuovere le attività industriali che nel frattempo crescevano.
Mentre Ernesto De Angeli si dedicava alla politica Giuseppe Frua, che nel frattempo aveva sposato la sorella di Ernesto, puntava a integrare il ciclo produttivo dal filato al tessuto stampato con l’acquisto di stamperie, filatoi e tessiture presenti in Italia. Scomparso Ernesto De Angeli nel 1907, Giuseppe Frua sviluppò uno dei più grandi complessi cotonieri d’Italia.
Lo stabilimento di Saronno ebbe il suo antecedente nella “Stamperia a Macchina Romeo Zerbi”, fondata a Saronno all’inizio del Novecento. Nel 1909 Romeo Zerbi di fronte al rischio di fallire preferì vendere a Giuseppe Frua la sua azienda.
La fabbrica di Saronno fu presto integrata nel gruppo e prese a produrre fazzoletti stampati e colorati le cui matrici arrivavano dallo stabilimento della Maddalena. Dopo un periodo di stasi causato dalla Grande Guerra, il sito di Saronno fu rilanciato. Ampliamenti e nuove costruzioni, nuove macchine per la stampa dei tessuti ne aumentarono la capacità produttiva. Nell’agosto del 1943 dopo la distruzione dello stabilimento di Milano, a seguito dei bombardamenti alleati, la fabbrica di Saronno divenne centrale nella vita del gruppo.
A definire i progetti di ampliamento dello stabilimento era stato chiamato da Carlo Frua, figlio di Giuseppe, l’architetto Pietro Lingeri che fece assumere al sito la storica configurazione che si contraddistingue per i giganteschi muri di pietra. Negli anni del dopoguerra lo stabilimento arrivò ad occupare circa 1.000 addetti e rappresentò la sede più moderna del gruppo.
Sono questi gli anni in cui il welfare aziendale, iniziato con Giuseppe Frua, raggiunse il massimo dell’espansione. Molti dipendenti vivevano nelle case del villaggio Frua e accedevano ai servizi aziendali: lo spaccio ad essi dedicato, la biblioteca aziendale, (circa 2.000 volumi), l’asilo, le cure mediche e dentistiche, il circolo ricreativo, le attività sportive.
Nel 1968 la Società De Angeli Frua non riuscì a superare la crisi in cui venne a trovarsi e il sito industriale di Saronno fu ceduto al Cotonificio Cantoni S.p.A., erede della storica azienda di Costanzo Cantoni.
Furono i cittadini saronnesi a decretare la nuova denominazione dello stabilimento che divenne nell’immaginario collettivo Cotonificio De Angeli Frua Cantoni sintetizzando la storia di tre grandi famiglie industriali.
L’unità produttiva di Saronno del Cotonificio Cantoni, divenne Cantoni Satilai e nel 1984 fu divisa in un ramo commerciale e nel settore produttivo “Cantoni finiture tessili”, mantenendo per tutti gli anni conclusivi del Novecento una occupazione che si aggirava intorno ai trecento dipendenti.
Gli alti costi delle strutture e i cali delle vendite portarono ad una definitiva chiusura dello stabilimento nel 2002 che fu acquistato dalla famiglia Inghirami.
FIMI - Phonola
La prima traccia della FIMI risale al 4 Ottobre 1923 quando Massimo Valentini e Antonio Gasparini costituirono una società in nome collettivo denominata “FABBRICA ITALIANA MATERIALI ISOLANTI” con capi ...
La prima traccia della FIMI risale al 4 Ottobre 1923 quando Massimo Valentini e Antonio Gasparini costituirono una società in nome collettivo denominata “FABBRICA ITALIANA MATERIALI ISOLANTI” con capitale sociale di 30.000 lire. Abitavano tutti e due a Saronno ma le loro origini erano altrove: Massimo Valentini era nato a Terni mentre Antonio Gasparini a Venezia.
Il 28 Giugno 1924 – dopo soli pochi mesi – la società fu sciolta e il 26 Maggio 1925 fu ancora Antonio Gasparini a costituire una nuova società in accomandita semplice con un nuovo socio, l’Ing. Giovanni (Giannino) Corbellini ma ancora con il nome di Fabrica Italiana Materiali Isolanti.
Lo scopo della società fu quello di fabbricare ”tubetti sterlingati e ogni altro materiale proprio dell’industria elettrotecnica”. Nel 1926 vennero costruiti i primi fabbricati nella zona di via Saul Banfi dove la Società si trova tutt’oggi.
Una nuova FIMI fu costituita poi nel 1929 dalla fusione tra la Fabbrica Italiana Materiali Isolanti dei Sigg. Corbellini e Gasperini e la Fabbrica Costruzioni Bacchetti che operava nel settore degli ascensori e montacarichi.
Nei suoi primi anni di vita la gamma dei prodotti FIMI incluse materiali isolanti, ascensori e montacarichi, altoparlanti, amplificatori e apparecchi radio. I prodotti venivano commercializzati con il marchio Phonola e anche con il marchio Darling. La prima radio – il modello 501 – fu prodotta nel Dicembre del 1931.
Nel 1941 il socio di maggioranza della FIMI divenne il conte Alessandro Poss, proprietario insieme alla famiglia di alcuni cotonifici nel Varesotto di cui uno a Saronno.
Finita la guerra vennero acquistati nuovi macchinari e lo stabilimento di Saronno venne ampliato. Il marchio Phonola conquistò una sempre maggiore popolarità nel mercato nazionale.
Agli inizi degli anni ’50 iniziava l’era della televisione e nel 1953 venne prodotta la preserie del primo televisore Phonola. La Fimi fu tra le prime aziende italiane a entrare nel mercato degli apparecchi televisivi; era quella l’epoca di “Lascia o Raddoppia”, delle famiglie e del vicinato raccolti tutti attorno alla “magica” scatola.
In questo periodo la FIMI è stata un’importante realtà per l’economia di Saronno; ci sono stati anni in cui i dipendenti hanno superato il migliaio (es. 1.052 nel 1959 e 1.017 nel 1967).
Nel 1969 la società venne ceduta dalla famiglia Poss al Gruppo olandese della Philips.
Nella seconda metà degli anni ’70 cominciò un processo di diversificazione e vennero prodotti – insieme alle radio e ai televisori – autoradio, impianti televisivi a circuito chiuso, motori elettrici insieme ad antifurti e amplificatori d’ antenna.
Nel 1976 si aprì una nuova fase nella storia della FIMI, l’era dei monitor per i computer.
Venne progettato il primo monitor a cinescopio per l’ IBM Italia e negli anni ’80 e ’90 la FIMI esportò in tutto il mondo fornendo i principali costruttori di sistemi informatici.
Negli anni ’90 l’ Azienda pur restando nel settore dei monitor professionali affiancò a quelli per computer i monitor per le applicazioni medicali e i display a grande schermo per le informazioni dei voli negli aeroporti.
Dalla fine degli anni ’70 la FIMI ha prodotto milioni di monitor, fornendo i più grossi costruttori di workstation e PC, i più grandi aeroporti di tutto il mondo e oggi i leaders nel settore dei sistemi medicali. In tutti questi anni la FIMI si è distinta nel mercato per la ricerca continua dell’innovazione tecnologica, l’affidabilità e la qualità dei suoi prodotti.
Nel 2010 la proprietà della FIMI passò dalla Philips al Gruppo belga della Barco e oggi la Società è fra le aziende leader a livello mondiale nello sviluppo, produzione e commercializzazione di display medicali.
Al MILS nella saletta dedicata alla FIMI si ripercorre l’evoluzione tecnologica della Società a partire dagli anni ’30.
E’ un affascinante viaggio nel passato quando la radio rappresentava l’unico mezzo di svago e di contatto con il mondo.
Con il passare degli anni gli apparecchi radio cambiavano look e dal mobile in legno degli anni ’30 si passò a quello in arbonite (cartone bakelizzato con l’ effetto tipico della radica), in bakelite e infine a quello in plastica.
I prodotti presentati – spesso all’avanguardia sia tecnologica che nel design – rappresentano alcuni esempi delle tappe significative della storia dell’ Azienda.
Si possono vedere:
- radioricevitori a valvole prodotte tra il 1933 e il 1945;
- radiofonografi risalenti al periodo 1936-55;
- radio a transistor (periodo 1968-72);
- un radioregistratore a transistor (periodo 1963-78) e un filodiffusore a transistor (1972-75);
- Televisori prodotti tra il 1955 e il 1961;
- Strumentazione varia usata nei laboratori FIMI nel periodo 1930-60, anche a ricordo dell’ Ing. Alessandro Tischer che fu tra i precursori della TV a colori in Italia e guidò in FIMI la transizione dai televisori ai monitor per l’informatica.
L’ attenzione del visitatore non può non essere attratta dal “televisore girevole” che rivela tutta la sua originalità nel design, senz’altro all’avanguardia per quei tempi (inizi degli anni ‘50). Non per niente lo stesso prodotto si trova al Museo Guggenheim di New York – U.S.A. e un modello similare è esposto alla Triennale di Milano.
Altri modelli di radio Phonola si trovano nella collezione Cutrupi ospitata all’interno dei due rotabili situati nell’area antistante l’ingresso del MILS; fra questi la radio Phonola mod. 547 con un innovativo design realizzato dai fratelli Castiglioni e da Caccia Dominioni.
Al MILS sono anche esposti due modelli di monitor a cinescopio: un esemplare dei primi monitor prodotti da FIMI per l’IBM e il primo monitor con contenitore plastico, realizzato nel 1982, quando incominciavano ad apparire sul mercato i primi PC.
FNM (Ferrovie Nord Milano)
Nel 1875 Alberto Vaucamps, un cittadino belga, sottoscrisse una Convenzione con il Governo Italiano per la Concessione della strada ferrata che, staccandosi dalla esistente Milano-Rho a metri 4620 ...
Nel 1875 Alberto Vaucamps, un cittadino belga, sottoscrisse una Convenzione con il Governo Italiano per la Concessione della strada ferrata che, staccandosi dalla esistente Milano-Rho a metri 4620 dalla stazione di Milano, doveva raggiungere la “borgata” di Saronno. Si avvalse della collaborazione di alcuni ingegneri italiani, fra cui l’Ing. Ambrogio Campiglio che sarebbe diventato il primo Direttore della nascente Ferrovia.
Nel piovoso mattino del 22 Marzo 1879, il Sindaco di Milano, conte Belinzaghi, inaugurò la tratta ferroviaria Milano – Saronno, dando il via al primo convoglio trainato da una sbuffante locomotiva diretta a Saronno.
L’intuizione di Alberto Vaucamp fu quella di aver intravisto e creduto nello sviluppo economico dei territori a Nord di Milano, che stavano passando da una economia di tipo rurale ad una di tipo manifatturiero-industriale con una notevole richiesta di mobilità di persone e cose.
Nacque così l’embrione di quelle che sarebbero diventate le Ferrovie Nord che, nel frattempo, avevano già richiesto la Concessione della linea Bovisa-Erba che, a Seveso, con una breve diramazione per il solo servizio merci, si congiungeva a Camnago con la linea Mediterranea (future Ferrovie dello Stato). La nuova linea venne inaugurata il 31 Dicembre 1879.
È da mettere in risalto come nel giro di soli 4 anni e con i modestissimi mezzi tecnologici allora a disposizione si fossero completate due tratte ferroviarie di tali dimensioni.
Nel 1883 la nuova Società assunse la denominazione di “Società Anonima Ferrovie Nord Milano”.
Dal 1888 iniziò una serie di acquisizioni di tratte ferroviarie già esistenti come la Saronno-Malnate/Como-Varese-Laveno/Saronno-Fino-Grandate-Como.
Nel 1890 venne assorbita la Novara-Saronno-Seregno e nel 1904 la Castellanza-Lonate Ceppino che nel 1916 venne prolungata fino a Valmorea.
Nel 1922 venne inaugurata la Erba- Canzo-Asso e nel 1926 la linea della Valmorea oltrepassò il confine Svizzero per raggiungere Mendrisio, assumendo – anche se per poco tempo – la caratteristica di linea internazionale; dopo solo 2 anni infatti, nel 1928,la tratta venne attestata in territorio italiano. In quegli anni la Ferrovia raggiunse il massimo della sua espansione, 274 Km.
Iniziò in quegli stessi anni l’elettrificazione delle tratte più trafficate ossia la Milano-Saronno e la Bovisa – Meda. L’opera di elettrificazione venne ripresa alla fine del 2° conflitto mondiale e portata a termine nella metà degli anni ‘50.
Restavano non elettrificate le linee adibite al solo servizio merci come la Castellanza-Valmorea, chiusa definitivamente nel 1977, ma che in questi ultimi anni ha ripreso vita a scopo turistico partendo dal confine svizzero e arrivando, attualmente, fino a Malnate.
Anche la Saronno-Seregno era rimasta non elettrificata, ma recentemente anche questa linea ha subito degli interventi di riqualificazione e elettrificazione che l’hanno resa atta anche al servizio viaggiatori.
Nello stesso periodo in cui le Ferrovie Nord si ingrandivano sensibilmente, Saronno da “borgata” si trasformava – anche grazie al loro positivo impatto – in un’ importante cittadina industriale.
Nel 1993 entrò a far parte della famiglia delle Ferrovie Nord la linea Brescia-Iseo-Edolo, gestita con motrici Diesel; contemporaneamente ci furono importanti interventi di miglioramento soprattutto per quanto riguarda la sicurezza con l’eliminazione e l’automazione di numerosissimi passaggi a livello e l’installazione di moderni impianti di segnalamento.
Nel 1997 si inaugurò il passante ferroviario di Milano tra la stazione di Bovisa-Nord e Porta Venezia, esteso successivamente ai servizi delle Ferrovie dello Stato.
Nel Maggio 1999 venne attivato il collegamento con l’aeroporto della Malpensa tramite una diramazione da Busto Arsizio della tratta Saronno-Novara.
Quest’ultima linea è stata oggetto d’ importanti interventi di riqualificazione con l’interramento dell’attraversamento di Castellanza e con il raddoppio di alcune tratte fino a Novara dove è realizzato il collegamento con le linee FS.
Nel 2007 fu aperta al servizio viaggiatori la tratta Seveso-Camnago e fu attivato il servizio su quattro binari della tratta Milano Cadorna-Bovisa, opera quest’ultima molto attesa e importante per la potenzialità e la regolarità di tutto il servizio delle Ferrovie Nord.
Dal punto di vista societario le Nord hanno progressivamente suddiviso le attività su più società, in particolare il servizio viaggiatori (Le Nord) opera separatamente dalla gestione delle infrastrutture (Ferrovie Nord Milano) recependo la direttiva comunitaria in proposito.
Il servizio merci attraverso FNM Cargo opera anch’essa con una gestione separata e con servizi internazionali anche sulle linee F.S. ed estere grazie ad accordi con vettori locali.
FOS (Fonderie e Officine di Saronno)
Nel 1933 la famiglia Alberti possedeva un’attività di commercio di carbone e bruciatori a coclea su licenza Carbomotor USA. Nel 1940 a Milano fu creata la Mario Alberti S.p.A. con una fonderia e ...
Nel 1933 la famiglia Alberti possedeva un’attività di commercio di carbone e bruciatori a coclea su licenza Carbomotor USA.
Nel 1940 a Milano fu creata la Mario Alberti S.p.A. con una fonderia e un’officina meccanica. L’azienda durante gli ultimi anni del periodo bellico produsse cucine, stufe in ghisa e apparecchi ausiliari navali.
Nel 1947 operò una pesante ristrutturazione e il 18 Marzo, per scorporazione, nacque la F.O.S. Fonderie e Officine di Saronno con sede in via Varese 78. La sede legale e commerciale restò a Milano.
Si sviluppò una produzione nei settori della fonderia, della termo-domestica, degli impianti termici e d’incenerimento. Il complesso industriale di Saronno occupò un’area di 45.000 mq e diede lavoro a circa 550 persone, escluso l’indotto.
La fonderia fu dotata d’impianti di stampaggio completamente automatici e di moderne attrezzature e catene di montaggio per la produzione in serie.
Mario Alberti si distinse anche per la sensibilità per tutto ciò che riguardava la tutela e il benessere dei lavoratori; costruì una mensa aziendale capace di 400 posti, realizzò spogliatoi e docce e fu sempre attento a tutelare la salute dei propri dipendenti (rispetto delle norme antinfortunistiche, ambienti e processi atti a prevenire le malattie).
Grande attenzione fu data anche alla formazione professionale.
L’azienda utilizzò diversi marchi:
- Warm Morning per stufe per riscaldamento domestico su licenza USA,
- Dravo per riscaldatori ad aria per ambienti industriali,
- Vapomatic per generatori di vapore ed aria surriscaldata,
- Albert Fonsar per inceneritori per lo smaltimento dei rifiuti urbani.
La tecnologia adottata e l’efficienza delle prestazioni dei prodotti portarono l’azienda ad essere leader nel settore in tutta Europa e soprattutto in Francia, Svezia, Svizzera, Belgio e Austria.
Mario Alberti morì nel 1958 e la guida dell’azienda passò nelle mani dei figli Paolo e Giuseppe e del genero Enrico Baj-Macario.
L’attività cessò nel 1982.
Gianetti Ruote S.r.l
La “Soc. Anonima Giulio Gianetti” fu fondata nel 1880 da Giulio Gianetti che possedeva un negozio di ferramenta e di profilati in ferro e acciaio nelle vie centrali del borgo di Saronno. Con il ...
La “Soc. Anonima Giulio Gianetti” fu fondata nel 1880 da Giulio Gianetti che possedeva un negozio di ferramenta e di profilati in ferro e acciaio nelle vie centrali del borgo di Saronno. Con il progredire della mobilità e l’allargamento del mercato regionale e nazionale Gianetti passò a produrre cerchi ed assali per carri e carrozze. Inizialmente specializzandosi nella fabbricazione di cerchioni in ferro per le ruote in legno dei mezzi di trasporto dell’epoca.
Nel 1913 pur restando profondamente legati a Saronno, i Gianetti costruirono lo stabilimento di Ceriano Laghetto dove vennero installati macchinari per la realizzazione di nuovi prodotti: trattori e macchine agricole, motociclette. Le Costruzioni Meccaniche Gianetti diventarono un importante fornitore dell’industria automobilistica e dei trasporti in forte crescita in Italia.
Terminata la prima guerra mondiale, nel 1919, l’azienda guidata da Giuseppe e Gaetano Gianetti e da Giulio Gianetti, nipote del fondatore, specializzò la produzione verso la fabbricazione di ruote per autoveicoli. Le ruote Gianetti nel frattempo si erano affermate come le migliori prodotte in Italia.
La propensione verso i mercati esteri portò nel 1932 Giulio Gianetti a rivolgersi alla Firestone Steel Products di Akron (Ohio) per conto della quale produsse su licenza cerchi per autocarri ricavati da profili laminati a caldo; dalla Dayton Steel Foundry di Dayton (Ohio) ottenne la licenza per produrre ruote a razze in acciaio fuso che avevano il vantaggio di essere più resistenti e più strette di quelle fino ad allora prodotte in Italia.
Dopo la morte prematura, nel 1935, di Giulio Gianetti e quella successiva del padre Gaetano, l’azienda proseguì l’attività sotto la direzione di Giuseppe Gianetti. Divenuta “Giulio Gianetti S.p.A.”, la società migliorò sempre la sua produzione e conquistò nuovi spazi sul mercato estero.
Nel 1950 morì Giuseppe Gianetti e l’impresa fu ereditata dalla vedova Nina Biffi. Assunta la denominazione “Giulio Gianetti Saronno S.p.A.”, nel 1959 la Sig.ra Biffi cedette l’azienda al gruppo Fergat di Torino.
Parte integrante del gruppo C.L.N. Magnetto di Torino, la “Gianetti Ruote S.p.A.” è a tutt’oggi uno dei maggiori produttori europei di cerchi e ruote per autoveicoli leggeri e pesanti e motocicli.
Oggi la Gianetti Ruote è parte del Gruppo finanziario Quantum Capital Partners (QCP) e produce ruote in acciaio di alta qualità per vari costruttori di veicoli commerciali come camion, rimorchi e autobus; suoi clienti sono fra gli altri Daimler, Iveco, MAN e Volvo.
Isotta Fraschini
La fabbrica di Saronno nota con la denominazione Isotta Fraschini ha avuto una storia lunga e complessa. Sulle aree poste in prossimità della stazione delle Ferrovie Nord Milano nel 1887 fu costruito ...
La fabbrica di Saronno nota con la denominazione Isotta Fraschini ha avuto una storia lunga e complessa. Sulle aree poste in prossimità della stazione delle Ferrovie Nord Milano nel 1887 fu costruito uno stabilimento di costruzioni meccaniche della Maschinenfabrik di Esslingen (Stuttgart – Germania) che prese a produrre locomotive su licenza della casa madre.
Ispiratori dell’operazione erano stati il barone Eugenio Cantoni, l’ing. Franco Tosi. Tessitore dell’operazione fu l’avv. Livio Bonalumi, già sindaco liberale di Saronno nel 1882, all’epoca eletto nel Consiglio provinciale di Milano per il distretto di Saronno, in ottimi rapporti con la finanza milanese.
Dal 1887 fino alla fine della prima guerra mondiale i tedeschi ampliarono l’iniziale sito costruendo nuovi capannoni. Fu nel 1917 che Nicola Romeo iniziò la trattativa per l’acquisto della fabbrica di Saronno. I tedeschi per evitare il rischio della requisizione cedettero lo stabilimento che nel 1918 prese la denominazione di Costruzioni Meccaniche Nicola Romeo (Società Anonima Nicola Romeo).
Tra il 1918 – 1928 il sito industriale s’ingrandì. Nicola Romeo fece diventare la fabbrica di Saronno un grande stabilimento per la produzione di elettromotori: da qui il cambio della denominazione in CEMSA (Costruzioni ElettroMeccaniche Saronno).
I progetti di Nicola Romeo s’infransero contro le scelte delle Ferrovie dello Stato che non adottarono le tecnologie introdotte dall’ingegnere ungherese Kálmán Kandó e per il fallimento della Banca Italiana di Sconto (BIS) in cui fu coinvolto l’ingegnere napoletano.
Fra il 1930-1936 lo stabilimento fu ridimensionato e poté proseguire l’attività grazie all’intervento del Credito Italiano e dell’IRI.
Risanata l’azienda dall’IRI, nel 1936 fu ceduta a Gianni Caproni che la inserì nel suo complesso industriale piegandone la produzione prevalentemente a scopi bellici. A partire da quella data operarono nel complesso industriale saronnese due settori industriali appartenenti alla medesima proprietà: la Isotta Fraschini motori e la Cemsa, entrambi del gruppo Caproni.
Nel 1941 fu cambiata la ragione sociale e l’azienda fu denominata Caproni Elettromeccanica di Saronno S.A.
L’Isotta Fraschini, com’è noto, fu fondata nel 1900 come “Società milanese d’automobili Isotta Fraschini & C.” da Cesare Isotta e dai fratelli Vincenzo, Oreste e Antonio Fraschini. Inizialmente l’azienda si occupava di assemblare parti e componenti di veicoli di provenienza straniera, del montaggio su telai di propria progettazione e costruzione e della commercializzazione di vetture straniere.
Nel 1904 cominciò a progettare e produrre in proprio tutte le componenti e divenne “Isotta Fraschini S.p.A. Milano”. Lo stabilimento di Milano sito in viale Monterosa si affermò per la qualità dei motori marini e per aerei e per la fabbricazione di automobili di lusso.
Fu dopo i bombardamenti dell’agosto 1943 che le produzioni dello stabilimento di Milano furono decentrate alla fabbrica di Saronno che divenne centrale nella produzione di armi per la guerra. Al termine del conflitto i due stabilimenti che operavano distintamente incontrarono molte difficoltà nella riconversione da aziende del complesso industriale militare Caproni a produzioni civili.
Posta in liquidazione la Caproni, fu nuovamente il capitale pubblico ad intervenire.
Nel 1955, dopo una ristrutturazione del settore, insieme alla “Breda Motori” di Milano, si formò la “F.A. Isotta Fraschini e Motori Breda” con sede a Saronno in via Milano. Lo stabilimento ebbe una relativa autonomia e si distinse nella progettazione e realizzazione di importanti prodotti nel settore ferroviario, navale e meccanico.
Nelle politiche di industrializzazione del Mezzogiorno, all’inizio degli anni ’60 fu fondato a Bari uno stabilimento per la produzione di motori Diesel di successo. Infine alla fine degli anni ’70 la società cambiò nome prima in “Isotta Fraschini” poi in “Isotta Fraschini Motori”.
Lo stabilimento di Saronno ha cessato l’attività alla fine degli anni ’80 con il trasferimento della produzione negli stabilimenti di Trieste della Soc. Fincantieri e successivamente a Bari.
Lesa
L'azienda (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima) fu fondata a Milano nel 1929 da Nello Meoni e Luigi Masseroni. La Lesa iniziò la sua attività modestamente ma nel giro di trenta anni raggiunge li ...
L’azienda (Laboratori Elettrotecnici Società Anonima) fu fondata a Milano nel 1929 da Nello Meoni e Luigi Masseroni. La Lesa iniziò la sua attività modestamente ma nel giro di trenta anni raggiunge livelli di produzione altissimi e diventò un’azienda di rilievo anche a livello internazionale, imponendosi sul difficile mercato americano e tedesco.
All’inizio degli anni ’60 la società gestiva tre unità produttive a Milano, Saronno e Tradate e contava circa 2000 dipendenti.
L’azienda produsse giradischi e cambia dischi, registratori a nastro, elettrodomestici, potenziometri e altri macchinari elettrici.
La LESA fu riconosciuta nel mercato per la qualità dei suoi prodotti, l’accuratezza delle finiture e l’armonia delle linee.
Sempre attenta alle istanze sociali, l’azienda si prodigò per il benessere e la soddisfazione dei propri dipendenti. Realizzò corsi di perfezionamento professionale, istituì un fondo di aiuto ai bisognosi, organizzò colonie estive per i figli dei dipendenti e contribuì a una forma di assicurazione volontaria d’affiancare a quella obbligatoria per legge.
A seguito di un lungo periodo di crisi, nel 1971 l’azienda fu costretta a dichiarare fallimento e un ramo fu gestito – su delega della GEPI – dalla Seimart S.p.A. di Torino che riassunse solo 450 operai e 90 impiegati limitando la produzione a quella dei potenziometri.
Successivamente questo ramo d’azienda fu scorporato assumendo il nome di PANTA; nel 1984 cessò definitivamente l’ attività.
Al MILS sono esposti un frullatore e tre giradischi di piccole dimensioni tutti prodotti nel periodo dal 1960 al 1971.
LUS (Legnani Umberto Saronno)
La ditta “L.U.S. di Umberto Legnani” fu fondata nel 1929 a Saronno come laboratorio per la produzione di pennini e puntine da disegno con tranciatura manuale. Nel 1934 trasferitasi in via Manzoni ...
La ditta “L.U.S. di Umberto Legnani” fu fondata nel 1929 a Saronno come laboratorio per la produzione di pennini e puntine da disegno con tranciatura manuale. Nel 1934 trasferitasi in via Manzoni ampliò la produzione ad altri articoli di minuteria metallica per la scuola e l’ufficio (graffette, temperamatite, ecc) e successivamente cucitrici, punti metallici, ecc.
Inizia la produzione delle penne stilografiche particolarmente apprezzate dagli studenti. La rete commerciale è basata sulle grandi capacità di persuasione di Umberto Legnani.
Il salto produttivo avvenne però nel 1948 quando la LUS produsse per prima in Italia la penna a sfera, nata negli Stati Uniti che rivoluzionò il modo di scrivere.
Nel 1950 la sede di via Manzoni fu potenziata con la costruzione di una fabbrica moderna visibile ancora oggi. Il ciclo produttivo fu organizzato su basi industriali, le penne a sfera LUS diventarono concorrenziali, meno costose di quelle straniere ma altrettanto affidabili e si affermarono sul mercato. Nel 1950 per sostenere lo sviluppo dell’azienda nacque la sede commerciale di Milano.
I prodotti progettati da tecnici interni all’azienda con macchine pure realizzate da professionalità interne si affermarono per la qualità e la varietà. Il ciclo produttivo della LUS pur avvalendosi di macchine che resero seriale la produzione, si caratterizzò negli anni del boom economico per la capacità di avvalersi anche del lavoro a domicilio delle famiglie che incrementavano in tal modo le loro entrate.
Nel 1955-60 per soddisfare le nuove richieste del mercato e fare argine alla concorrenza straniera, furono prodotti pennarelli con punta di nylon e inchiostri speciali che trovarono una positiva accoglienza da parte dei consumatori. L’azienda incrementò ulteriormente il numero degli addetti fino a raggiungere con quelli dell’indotto il numero di circa mille lavoratori.
Nel 1968 venne meno Umberto Legnani e la moglie, Giuseppina Carnelli, guidò l’azienda conservandone l’impronta familiare, tipica di tante industrie lombarde. Nell’impresa lavorarono fratelli, nipoti e successivamente pronipoti di Umberto Legnani e della signora Carnelli che guidò l’azienda fino al 2000, all’età di 98 anni.
La società con la denominazione “Mondial LUS S.p.A.” esiste tuttora.
Parma Antonio & Figli
Antonio Parma nacque a Lainate nel 1854. Le cronache narrano del suo precoce avviamento al lavoro e delle abilità acquisite nella fabbricazione di serrature presso un’officina meccanica milanese. Nel ...
Antonio Parma nacque a Lainate nel 1854. Le cronache narrano del suo precoce avviamento al lavoro e delle abilità acquisite nella fabbricazione di serrature presso un’officina meccanica milanese. Nel 1870 il desiderio di autonomia, la genialità nel produrre congegni di sicurezza lo portarono a fondare l’azienda Antonio Parma.
Antonio Parma ereditava la lunga tradizione diffusa a Milano e in Lombardia della lavorazione dei metalli, egli infatti seppe lavorare e fondere il ferro ricavando leghe particolarmente resistenti che impiegate nei prodotti rivolti alla sicurezza ne determinarono il successo. Fu particolarmente attento alla formazione dei suoi dipendenti, memore della sua storia personale, i giovani garzoni erano costretti ad un lungo percorso di apprendistato prima di diventare operai provetti.
Nel giro di pochi anni per le efficaci soluzioni escogitate nel realizzare nuovi congegni di chiusura, gli articoli di sicurezza della ditta Antonio Parma si affermarono in tutta Italia.
In Lombardia grande notorietà fu procurata, alla fine dell’Ottocento, dall’Amministrazione della Basilica Ambrosiana che commissionò la costruzione di un sistema di custodia per il celebre pallio (paramento) d’oro dell’altare maggiore di Volvinio, rinomato gioiello dell’oreficeria longobarda, tempestato di gemme e pietre preziose a spicco sulle lastre d’oro sbalzato. Antonio Parma fabbricò una corazzatura mobile dotata di una chiusura speciale che risultò tanto efficace da non essere più modificata, fino al 1985, quando fu sostituita da vetro corazzato. La cassaforte si trova presso il MILS
Superate le difficoltà iniziali la ditta Antonio Parma si confrontò con successo con il mercato dominato da ditte francesi, tedesche e, soprattutto, austriache tanto che le casseforti, non a caso, venivano dette “viennesi”. Le nuove richieste spinsero Antonio Parma a trasferire nel 1902 da Lainate a Saronno la sua attività. Nel 1916 fu costruita una moderna officina, il primo nucleo dello storico stabilimento, alla periferia Est della città. A quell’epoca risale l’incremento dei prodotti di sicurezza costruiti dall’azienda: oltre alle casseforti, impianti completi di cassette per banche, una produzione che diventò sempre più importante, man mano che si allargava e potenziava il sistema bancario italiano.
I miglioramenti via via introdotti nella qualità e sicurezza delle cassette contribuirono a potenziare i servizi bancari, facilitandone lo sviluppo presso i risparmiatori.
L’azienda mantenne una stretta impronta familiare, i figli di Antonio Parma furono coinvolti nell’attività paterna, la ragione sociale dell’impresa diventò Parma Antonio & Figli. Nel 1922, prima di mancare immaturamente, Antonio Parma ebbe il solenne riconoscimento per l’attività svolta e gli fu assegnata la Croce di Cavaliere del Lavoro.
I prodotti della ditta Parma furono richiesti in quasi tutti gli Istituti di Credito, le Società industriali, le Amministrazioni Pubbliche (il Comune di Milano fu un assiduo cliente), privati cittadini. Rinomata in Italia e apprezzata in tutto l’ambiente bancario, negli anni fra le due guerre, proiettò la sua attività anche all’estero. Le sue casseforti furono inviate in tutte le parti del mondo e figurano con successo in numerose esposizioni. Una poderosa porta corazzata circolare, con chiusura a pressione fu premiata all’esposizione internazionale di Barcellona del 1929, riscuotendo un così grande apprezzamento che fu acquistata dal Banco de Credito del Perù e posta in opera presso la sue sede di Lima.
Nello stesso anno, fu costruita una delle porte più pesanti del mondo (600 quintali) destinata alla sede di Genova del Banco di Chiavari, caratterizzata da una corazzatura ultrapotente, 80 cm. di spessore e chiusura a pressione. In questo campo, la Parma detiene tutta una serie di primati: a Milano le due porte circolari a pressione di maggior peso (400 quintali) della Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (attuale INTESA SAN PAOLO); quella di massimo diametro (mm. 2050) del Banco di Roma; a Napoli quella, sempre circolare, di massimo spessore (mm. 800) del Banco di Napoli.
La Parma Antonio & Figli, è stata per tutta la seconda metà del Novecento e nei primi decenni del Terzo Millennio una azienda di fama internazionale, oltre che la più importante fabbrica italiana ed una delle realtà più significative a livello internazionale per la costruzione di impianti di sicurezza e casseforti. L’azienda ha conservato fino a tempi recenti la guida degli eredi di Antonio Parma che avevano spostato l’attività nello stabilimento di Solaro. Le difficoltà del mercato, i cambiamenti avvenuti nei sistemi di sicurezza, la concorrenza internazionale hanno indotto nel 2021 ad interrompere l’attività.
ALTRE AZIENDE
Borsani
La Borsani Angelo nacque nel 1914 e prese il nome dal fondatore. Con mezzi limitati ma con grande esperienza nella lavorazione del ferro, iniziò a produrre in piccole serie catenacci e viti per ...
La Borsani Angelo nacque nel 1914 e prese il nome dal fondatore. Con mezzi limitati ma con grande esperienza nella lavorazione del ferro, iniziò a produrre in piccole serie catenacci e viti per armadio.
Dopo un difficile periodo durante la Prima Guerra Mondiale, la piccola bottega artigiana – al rientro del figlio Ermenegildo dalla guerra – in pochi anni si trasformò in un’azienda.
Con l’utilizzo delle tecnologie e di nuove attrezzature da lui stesso progettate, venne ampliata la serie di articoli prodotti e la Borsani entrò nel settore degli articoli di ferramenta per mobili distinguendosi per la qualità dei suoi prodotti.
Borsani fu il primo in Italia a produrre cerniere profilate in ottone, fino a quel momento importate dalla Germania.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Borsani si riprese rinnovandosi anche nella struttura organizzativa con l’ingresso dei figli di Ermenegildo, Giancarlo e Giuseppe.
Giancarlo si dedicò all’ottimizzazione dei processi produttivi e allo studio di nuovi prodotti; Giuseppe invece si occupò dell’ amministrazione dell’azienda.
Nel 1967 fu realizzata una cerniera che poteva essere applicata all’interno del mobile senza la necessità d’incassi; fu imitata da molte altre aziende in tutto il mondo.
Le esportazioni assorbirono il 70% della produzione. Verso la fine degli Anni Ottanta entrarono in azienda i figli di Giancarlo, Alberto come responsabile di produzione e qualità e Angelo come responsabile commerciale; qualche anno dopo Alessandro affiancò il padre Giuseppe come responsabile amministrativo.
Nei primi anni 2000 il mercato impose nuove regole e spinse l’azienda a ottimizzare i suoi processi e investire in automazione per rendere sempre più competitivi i propri prodotti.
Nell’autunno del 2007 l’azienda si trasferì nella nuova zona industriale di Origgio, dopo più di 80 anni di permanenza nella vecchia sede di Saronno.
L’Azienda (Borsani Angelo srl) è tuttora in attività nel settore delle cerniere profilate in ottone, cerniere a molla, cricchetti e chiusure per mobili e articoli di ferramenta in genere.
Calzificio Fusi
Ebi Butti
La EBI fu fondata nel 1903 a Saronno da Edoardo Butti con la denominazione "Edoardo Butti lattoniere idraulico"; l’acronimo EBI significava “Eduardo Butti Italia”. Nacque come azienda artigianale ...
La EBI fu fondata nel 1903 a Saronno da Edoardo Butti con la denominazione “Edoardo Butti lattoniere idraulico”; l’acronimo EBI significava “Eduardo Butti Italia”.
Nacque come azienda artigianale dedita alla lavorazione delle lamiere e la sua prima sede fu nel centro di Saronno in via Ramazzotti, dove rimase fino al 1963.
Nella prima metà del ’90 fu il principale fornitore della Lazzaroni per le scatole di latta decorate utilizzate come contenitori di biscotti.
Dal 1980 l’azienda ha continuato ad aumentare la sua quota di esportazione grazie al riconoscimento da parte del mercato internazionale della qualità e dell’innovazione tecnologica dei suoi processi produttivi.
Bruno, il figlio del fondatore, iniziò a collaborare con il padre come garzone a partire dal 1919 quando aveva solo 13 anni e assunse la gestione dell’azienda, insieme al fratello Guido, nel 1936 alla morte di Edoardo Butti. La società prese il nuovo nome di EBI di Guido e Bruno Butti.
Dopo la prematura morte di Guido, Bruno Butti si ritrovò da solo alla guida di un’industria che fino a quel momento era stata l’immagine del lavoro unito di tutta una famiglia; la ditta divenne EBI di Bruno Butti.
Nel 1963 la necessità d’ingrandirsi e di adeguarsi a processi produttivi sempre più aggiornati suggerirono l’ampliamento dell’azienda e il trasferimento in una nuova sede sempre a Saronno in viale Lombardia su un’area di 8.000 mq. di cui 4.000 coperti.
Nel 1974 la società cambiò ancora una volta il nome che divenne “EBI di Bruno Butti & C. s.a.s.”, avendo il titolare associato alle massime responsabilità il genero, Abramo Malnati, già dipendente dell’azienda sin dal 1960.
Alla fine degli anni ’80 la EBI Butti si cimentò nella progettazione e produzione di carcasse di motori elettrici, ricavate dalla lamiera d’acciaio e di scaffalature e contenitori metallici ad uso industriale prodotti secondo le più moderne tecniche e in grado di garantire sicurezza e razionalità di utilizzo.
Oggi la EBI è un’azienda ad alta automazione, specializzata nella deformazione a freddo della lamiera. Grazie all’ampio e aggiornato parco macchine, l’Azienda oltre allo stampaggio a freddo della lamiera, offre ai propri clienti una serie di lavorazioni per un servizio completo: deformazione a freddo, saldatura a filo continuo, a proiezione e per punti, assemblaggio, lavaggio.
Ai clienti di tutto il mondo la EBI offre soprattutto un servizio accurato e personalizzato,
flessibilità e velocità di esecuzione e un elevato livello qualitativo, il tutto garantito da un team professionale tra i più preparati del mercato.
Fontana (La Saronnese)
Negli anni ‘20 del ‘900, nell’allora casa Carcano di via Vittorio Emanuele 18/20 a Saronno (attuale Corso Italia 86) era attiva la pasticceria “Michele Fontana” (Prestino-Pasticceria, Fabbrica ...
Negli anni ‘20 del ‘900, nell’allora casa Carcano di via Vittorio Emanuele 18/20 a Saronno (attuale Corso Italia 86) era attiva la pasticceria “Michele Fontana” (Prestino-Pasticceria, Fabbrica Amaretti e Biscotti) che nel 1933 avviò in via Pusterla 3 un’attività artigianale denominata “Amaretti Fontana”.
La pasticceria produceva in particolare i biscotti “amaretti” utilizzanti gli armellini (i noccioli delle albicocche) e i biscotti “Uso Novara”, noti in seguito come Pavesini.
La denominazione “amaretti” data ai biscotti fu osteggiata dalla ditta Lazzaroni che a Saronno era depositaria della denominazione ufficiale. Michele Fontana dovette cambiare nome ai suoi amaretti denominandoli “Amaretti Fontana in Saronno” (1932-33). Inviso alla Federazione Provinciale Fascista del Commercio, Michele Fontana fu pure costretto a dismettere la sua attività.
Lo spirito d’iniziativa della famiglia si riaffermò nel 1951 con le sorelle Anita ed Elisa Fontana che costituirono la “Distilleria Saronnese” e insieme a Pietro Vago e Giuseppina Calabi la ditta “Giuseppe Vago S.p.A.” di Saronno. La nuova impresa prese a produrre una vasta gamma di liquori tra cui “L’Amaretto Vago-Saronno, il vero amaretto” e l’amaretto “Vecchia Saronno”.
Nel 1955 l’azienda fu posta in liquidazione per diventare “La Saronnese industria Liquori”, unici proprietari la famiglia Fontana.
La ditta Fontana produsse un liquore che su scala locale ottenne una discreta diffusione con la denominazione “Amaretto Fontana”.
La Saronnese, guidata da Giuseppe Fontana, produsse liquori, Brandy e sciroppi per cessare l’attività nel 1976.
Fratelli Verga
I fratelli Verga (Cesare, Mario, Ezio e Rodolfo) erano originari di Mandello del Lario, patria della Moto Guzzi e tutti con la passione per la meccanica. Si erano trasferiti a Milano nel 1949 in via ...
I fratelli Verga (Cesare, Mario, Ezio e Rodolfo) erano originari di Mandello del Lario, patria della Moto Guzzi e tutti con la passione per la meccanica.
Si erano trasferiti a Milano nel 1949 in via Masolino da Panicale,6 e qui avevano creato un’ officina che fabbricava pezzi di precisione per Aziende costruttrici di mezzi di trasporto e di moto. Fra i loro clienti figuravano la Guzzi, la Laverda, la Gilera ed anche l’Alfa Romeo. Ognuno dei fratelli si era specializzato in una lavorazione (torneria, cromatura, montaggio) ed il loro lavoro procedeva molto bene. La passione delle moto oltre che la particolare esperienza maturata li indusse nella decisione di costruire in proprio delle moto, avendo come modello di riferimento il Galletto della Guzzi. L’attività crebbe e la necessità di aumentare l’organico e quindi gli spazi di lavorazione li portò a trasferire l’officina a Saronno nel 1952 in via Torino 3. L’organico raggiunse le cinquanta unità. Vennero costruiti 3 tipi di moto:
- Il modello Sport Turismo da 100 cc (1952);
- il modello Turismo Lusso da 75 / 100 cc (1952).
- il modello Sport da 100 cc (1954).
Il più piccolo dei fratelli era diventato collaudatore e la passione lo spinse anche a partecipare a numerose gare di regolarità, vincendo anche un giro d’Italia.
Purtroppo alle notevoli spese per il personale e per i materiali non corrispose un parallelo aumento degli introiti. Le vendite avvenivano a rate e non sempre venivano onorate. Questo faceva mancare la liquidità necessaria per mandare avanti il lavoro. fino ad arrivare al fallimento ed alla chiusura delle attività nel 1956.
Al MILS la Verga è presente con una moto donata nel 2018 da Ariel Atzori, Vice Presidente dell’Automobile Club Storico Italiano.
Nelle sue ricerche sui veicoli storici Atzori si è imbattuto nella documentazione di questa moto Verga costruita a Saronno e incuriosito ne ha iniziato la ricerca riuscendo alla fine a trovarla a Schio dopo venti anni.
L’esemplare di moto presente al MILS è un modello sport di piccola cilindrata (100 cc) e fu costruita negli anni ’50 principalmente come mezzo per recarsi al lavoro.
Partecipò anche a gare di regolarità in tutta Italia organizzate dai moto club locali e ottenne notevoli successi.
INCIS
L’INCIS fu fondata a Saronno nel 1953 per la produzione di magnetofoni con il nome di “INCIS dei F.lli Renato e Mario Seregni, società a nome collettivo”. Il magnetofono fu presentato per la prima ...
L’INCIS fu fondata a Saronno nel 1953 per la produzione di magnetofoni con il nome di “INCIS dei F.lli Renato e Mario Seregni, società a nome collettivo”.
Il magnetofono fu presentato per la prima volta in Italia alla Fiera di Milano del 1947 riscuotendo da subito un immediato successo. Le cronache raccontano di lunghe file di visitatori che in coda aspettavano per registrare la propria voce e risentirla.
Industria giovane e per giovani, nacque fra appassionati di elettronica, con modesti capitali iniziali. Le prime aziende del settore riutilizzarono componenti (in particolare valvole) ricavati da materiali lasciati inutilizzati dagli alleati.
Uno dei due fratelli aveva lavorato presso la ditta Geloso di Milano, un punto di riferimento del settore a livello nazionale per la produzione di ricevitori e trasmettitori radioamatoriali.
Nella fase di avvio il piccolo stabilimento, non più di dieci dipendenti, ebbe sede in via Ramazzotti 33. Si trattava di un grande salone all’interno di una costruzione posta in un cortile dove il ciclo produttivo prevedeva la saldatura delle diverse componenti del magnetofono e l’inserimento del telaio in una valigia/scatola di montaggio in plastica.
Fino a tutti gli anni ’60, l’INCIS si specializzò nella produzione di registratori a nastro (magnetofoni) e fonovaligie. Inizialmente la produzione fu essenzialmente di apparecchi meccanici. L’INCIS fece il suo salto produttivo brevettando un registratore portatile che grazie ad un particolare accorgimento abbatteva il consumo delle batterie.
L’azienda crebbe e si trasferì in una sede più moderna, in via Novara 28; gli occupati raggiunsero i 100 addetti. Negli anni ’70 passò a produrre anche alcuni modelli di autoradio in grado di registrare su cassetta.
La validità dei prodotti portò l’azienda a conseguire il premio “Referendum Qualità Lombardia 1971”.
Lo sviluppo della rete commerciale fecero conoscere i prodotti INCIS in Italia e in Europa e l’.
azienda fu attiva anche nella produzione di apparecchi di registratori digitali ad uso industriale e per audio-verbalizzazione.
Menning & Torley
Il merletto fatto a mano, legato all’industria della moda, era un’attività femminile che con l’avvento delle macchine tessili, durante la Rivoluzione Industriale, venne quasi completamente ...
Il merletto fatto a mano, legato all’industria della moda, era un’attività femminile che con l’avvento delle macchine tessili, durante la Rivoluzione Industriale, venne quasi completamente abbandonato, dapprima in Inghilterra e a seguire nei paesi del Nord Europa.
In Italia s’incominciò a produrre pizzi e merletti industriali soltanto e fine Ottocento quando il mercato si allargò e aumentò la richiesta di prodotti meno costosi di quelli fatti a mano.
La C. Torley & C., un’azienda che aveva la casa madre in Belgio, nel 1889 iniziò la sua attività in Italia, a Saronno, come filiale della Torley und Frank. Con la Torley – come fu nota la fabbrica di Saronno – iniziò la prima produzione in Italia di stringhe, nastri, copripunti, nastri elastici, pizzi e trecce con macchine industriali.
Nel 1916 rilevò l’azienda il commendatore Sam Mennig che aveva dato un forte impulso negli anni precedenti al suo sviluppo. La nuova società si denominò “S. Mennig & C. Torley”. Durante gli anni di guerra i proprietari continuarono a retribuire gli operai richiamati al fronte come atto di solidarietà con le famiglie dei dipendenti e con l’Italia che si era schierata con il Belgio neutrale dopo l’invasione tedesca.
Nel 1925 la ditta Torley fu assorbita dalla “Trecce e Pizzi Saronno” di Friedman e Giani integrandosi in un complesso tessile che aveva sedi a Uboldo, Gerenzano e Carbonate. Nell’immediato dopo guerra lo stabilimento occupava circa 400 addetti, prevalentemente donne. Con la crisi del settore tessile degli anni ‘60 si esaurì la vicenda industriale dello stabilimento saronnese.
Molino Canti
Dopo l’iniziale partecipazione come socio nel Molino Biffi, Canti & C., Antonio Canti diede vita a fine Ottocento ad un’autonoma impresa che prese il via agli inizi del Novecento. La fabbrica ...
Dopo l’iniziale partecipazione come socio nel Molino Biffi, Canti & C., Antonio Canti diede vita a fine Ottocento ad un’autonoma impresa che prese il via agli inizi del Novecento. La fabbrica moderna, alimentata con l’energia elettrica che giungeva dalla centrale di Vizzola Ticino fu progettata da Cesare Saldini, futuro rettore del Politecnico di Milano. Il mulino provvedeva alla macinazione di grano che giungeva a Saronno trasportato da lunghe file di carri.
Nel primo decennio del Novecento furono installate moderne macchine molitorie – come quella per la burattazione eseguita con Plansichter-brevetto Giesecke & Konegen e i laminatoi Amme – che consentirono all’azienda saronnese di diventare una delle più competitive della Lombardia. Insignito della Croce di Cavaliere del Lavoro, Antonio Canti morì il 30 Luglio 1918
A continuare l’attività furono gli eredi, in particolare il figlio Davide Canti che procedette all’ammodernamento. Nel 1929 la società si denominò “Soc. An. Molino Antonio Canti”. Deceduto Davide Canti nel 1951, negli anni successivi, la concorrenza dei grandi complessi molitori, l’impossibilità di ampliare la struttura esistente, portò ad un declino produttivo e alla sua chiusura.
Paolo Lazzaroni & Figli
Nel 1984, dopo la cessione del ramo biscotti (la D. Lazzaroni & C) a una multinazionale Americana, Paolo Lazzaroni – omonimo del suo bisnonno creatore dei liquori – mantenne invece la “Paolo ...
Nel 1984, dopo la cessione del ramo biscotti (la D. Lazzaroni & C) a una multinazionale Americana, Paolo Lazzaroni – omonimo del suo bisnonno creatore dei liquori – mantenne invece la “Paolo Lazzaroni & Figli”, un’azienda ancora in attività, dedicata alla produzione di specialità dolciarie e di liquori. Il “prodotto bandiera” è il noto liquore “Amaretto Lazzaroni 1851”, l’unico “biscotto liquido” mai esistito che è ancora prodotto seguendo l’antica ricetta del 1851, attraverso l’infusione in alcool dei biscotti amaretti.
La produzione dolciaria invece è commercializzata con il marchio “Chiostro di Saronno”. Agli inizi degli anni ’90, Paolo Lazzaroni ha costruito a Saronno l’impianto di via Gorizia dove tuttora l’azienda ha sede.
La Società è oggi gestita da Paolo e Luca Lazzaroni che rappresentano la 7° e 8° generazione di una famiglia di imprenditori che da sempre ha lavorato nel settore alimentare italiano di alta qualità (vedasi la scheda dedicata alla “Davide Lazzaroni & C.”).
La Paolo Lazzaroni & Figli realizza circa l’80% del suo fatturato con le esportazioni in oltre 65 Paesi.
L’attività aziendale è suddivisa in tre diverse aree di business: biscotti, panettoni/colombe e liquori.
Opera nel settore liquoristico con il marchio “Lazzaroni”, mentre per i biscotti, i panettoni e altri prodotti da forno usa il marchio “Chiostro di Saronno”, dal nome dell’antico chiostro francescano situato nel centro della città di Saronno, dove si trova anche l’archivio storico della famiglia Lazzaroni.
Tipografia Padre Luigi Monti
La Tipografia Padre Luigi Monti prese ad operare nell’ambito dell’Istituto Padre Monti di Saronno, istituto religioso promosso da Luigi Monti (1825-1900), fondatore della Congregazione dei figli ...
La Tipografia Padre Luigi Monti prese ad operare nell’ambito dell’Istituto Padre Monti di Saronno, istituto religioso promosso da Luigi Monti (1825-1900), fondatore della Congregazione dei figli dell’Immacolata Concezione, e in seguito dell’orfanotrofio di Saronno.
A fronte dell’industrializzazione in corso Padre Luigi Monti, per assicurare un avvenire ai piccoli orfanelli, istituì corsi di formazione per l’apprendimento del mestiere di tipografo, legatore, falegname e sarto.
Nelle «Costituzioni», la regola dell’ordine, Padre Monti scrisse: «I religiosi educatori si dedicheranno ad istruire nell’arte e a leggere e scrivere formando gli orfani di un carattere sincero ed aperto, procurandoli di renderli amici del lavoro”.
La prima officina a prendere il via fu nel 1897 la legatoria: «maestro d’arte» fu fratel Rocco Battisti formatosi allo scopo presso lo Stabilimento Staderini di Roma.
Il secondo passaggio fu l’avvio della tipografia. A Saronno fra la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento e il primo decennio del Novecento erano presenti alcuni stampatori (Tipografia Volontè , Tipografia Trotti) fra cui era attiva la Tipografia del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere) che fu rilevata dai religiosi dell’Istituto Padre Monti nel 1905.
La Tipografia Padre Luigi Monti divenne nel volgere di pochi anni lo stampatore ufficiale della Curia Arcivescovile e dell’Università Cattolica di Milano garantendo una produzione di qualità nel campo della stampa periodica e libraria.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la stamperia divenne formalmente “Tipografia Padre Luigi Monti e Pontificia Arcivescovile San Giuseppe”, continuando a ricoprire un ruolo importante nel settore editoriale, non solo della Diocesi milanese.
Di fronte ai rivolgimenti del settore, nel 1988 la “Tipografia Padre Luigi Monti” divenne “Grafica Luigi Monti S.r.l.”.
Wundercart
La Wundercart S.r.l. fu fondata nel 1956 con sede in via don Angelo Ramazzotti 33 da Paolo Cartabia e da Enrico Ceriani. Entrambi avevano esperienze nel settore della radio: Paolo Cartabbia aveva ...
La Wundercart S.r.l. fu fondata nel 1956 con sede in via don Angelo Ramazzotti 33 da Paolo Cartabia e da Enrico Ceriani.
Entrambi avevano esperienze nel settore della radio: Paolo Cartabbia aveva lavorato presso l’Allocchio Bacchini di Milano e nel 1950 – messosi in proprio – aveva iniziato a produrre in modo artigianale in un laboratorio di via Taverna a Saronno radio con il marchio CART. Era lui stesso a venderli nelle piazze di Milano e Torino.
Enrico Ceriani era un ex dipendente della FIMI.
Due anni dopo Ceriani rilevò la società e sul mercato apparvero le prime radio con marchio Wundercart.
L’azienda iniziò anche a produrre per conto terzi (Irradio, Novaradio, GBC).
Nel 1959 la Wundercart si trasferì in un nuovo stabilimento in via Miola 7 sempre a Saronno; i dipendenti erano circa 90.
Si ebbe una buona espansione nel mercato nazionale dove fu raggiunta una quota pari a circa il 4%. Buone furono pure le esportazioni soprattutto in Germania, Austria, Turchia e Sud America.
La Wundercart produsse anche per il mercato statunitense con il marchio Lucor.
Nel 1963 arrivarono le prime battute d’arresto dovute alla competitività del mercato ma anche a misure restrittive imposte dal Governo nel settore degli elettrodomestici a causa della crisi nazionale.
Nel Giugno del 1967, a causa del prolungarsi della crisi nazionale, la Wundercart cessò l’attività.
Categoria 3
COLLEZIONE CUTRUPI (radio d'epoca)
La collezione è stata donata al Museo nel 2018 dall’ Ing. Saverio Cutrupi in memoria del padre, professore di fisica e appassionato collezionista di Novara. Comprende 118 esemplari prodotti dal 1925 ...
La collezione è stata donata al Museo nel 2018 dall’ Ing. Saverio Cutrupi in memoria del padre, professore di fisica e appassionato collezionista di Novara. Comprende 118 esemplari prodotti dal 1925 al 1966 da varie aziende (in tutto 51 di cui 39 Europee e 12 Nord-Americane; le aziende italiane sono 21 e fra esse anche la FIMI Phonola). Le radio sono quasi tutte funzionanti.
La collezione è stata inaugurata il 13 Febbraio 1920 proprio in occasione della Giornata Mondiale della Radio.
In mancanza di spazi all’interno del MILS, la collezione è stata sistemata in due carrozze ferroviarie nell’area antistante l’ingresso del Museo.
Questa scelta, che all’inizio era sembrata una soluzione quasi di ripiego, ha poi rivelato un suo particolare fascino e dà ai visitatori l’opportunità di fruire dell’offerta museale in un modo nuovo e originale.
Le “vecchie radio” – raccolte seguendo un criterio cronologico – permettono a chi entra sulle carrozze di avventurarsi in un “magico viaggio nel tempo” dagli anni ’20 agli anni ’60 e di restare coinvolti in un intrigante mix di ricordi fra viaggi attraverso i paesaggi lombardi e voci e musiche di quelle “scatole magiche” che facevano arrivare il mondo a casa nostra.
La raccolta consente non solo di “riscoprire” oggetti che singolarmente hanno un indubbio fascino e interesse ma favorisce anche stimolanti collegamenti fra gli apparecchi esposti e il contesto storico, sociale e tecnologico in cui essi sono stati prodotti e utilizzati.
Nella sua interezza la collezione permette di ripercorrere la storia della tecnologia, dei processi manufatturieri, del design industriale, del mondo del lavoro, della comunicazione di massa e anche della storia politica e sociale di più di quaranta anni a partire dalla metà degli anni ’20.
In questo percorso dalle prime radio a galena che non avevano bisogno di un alimentatore e che attraverso una cuffia consentivano un “ascolto singolo” si passa all’avvento degli altoparlanti che permisero l’”ascolto multiplo” dando alla radio anche una connotazione sociale, di “oggetto” attorno a cui tutta la famiglia si riunisce.
Dalle radio a valvole si passa a quelle a transistor, dagli apparecchi a modulazione di ampiezza a quelli con modulazione di frequenza.
Si ripercorre anche l’evoluzione del design e dei materiali usati per queste “scatole dei suoni”.
Da un grossolano contenitore “squadrato” in legno o metallico con alcuni componenti esterni (l’altoparlante, l’antenna o l’alimentatore) si passa a un mobile compatto capace di contenere il tutto.
La radio diventa parte dell’arredamento della casa, un vero e proprio mobile che si uniformava al gusto e agli stili delle diverse epoche. Cambiano anche i materiali e dal legno si passa al cartone pressato, alla bachelite, ai materiali plastici dei tempi più recenti.
Fra gli apparecchi radio conservati al MILS citiamo:
– Una radio a galena,
– Il modello RCA Radiola del 1927 con altoparlante (allora chiamato “altisonante”) “a collo di cigno”,
– La Radiobalilla del 1937 che a costi contenuti fu voluta dal Regime Fascista per estendere a tutti l’accesso al nuovo mezzo di comunicazione, ovviamente da utilizzare anche come veicolo di propaganda politica,
– La radio Phonola 573 del 1945 con il design innovativo dei fratelli Castiglioni.
«Ci possono essere varie ragioni per cui una persona si trova a collezionare radio, riempendosene la casa con problemi di spazio e di rapporti familiari. Alcuni raccolgono anche per rivendere, altri dicono di volere mantenere in vita una cultura che altrimenti sparirebbe, altri ancora, oltre a ciò, hanno anche la passione di rendere funzionante qualcosa che non lo è da molto tempo….
Ma come si inizia?
Io ho iniziato cercando la radio di famiglia, comprata da mio padre nel 1936, che da piccolo avevo distrutto. L’ho trovata solo quest’anno e nel frattempo ne ho portate a casa altre duecento.»
(Domenico Cutrupi (in occasione della mostra temporanea «La scatola dei suoni», 1-20 dicembre 2012)
“Questa collezione potrà richiamare memorie familiari e affettive per i visitatori più avanti nell’età e per i più giovani potrà essere una opportunità di avvicinare oggetti di cui hanno solo sentito parlare”
(Saverio Cutrupi nell’ introduzione del libro “Le scatole dei suoni”, quaderno n. 8 del MILS).
Collezione Gerosa - Borgonovo (Modelli di locomotive)
Al MILS sono esposti tre interessantissimi modelli di locomotive in scala 1/10; sono opera di due ex dipendenti delle Ferrovie Nord Milano, i sigg. Gerosa e Borgonovo.
Al MILS sono esposti tre interessantissimi modelli di locomotive in scala 1/10; sono opera di due ex dipendenti delle Ferrovie Nord Milano, i sigg. Gerosa e Borgonovo.